Volontariato

Da Regina Coeli a Poggioreale: un’attenzione costante. Lui, dietro le sbarre

Nel corso del suo pontificato gli incontri con i detenuti sono stati 15, in Italia e all’estero. Ovunque Wojtyla ha confortato e speso parole di amicizia e riconciliazione.

di Ettore Colombo

La prima volta sembra che avvenga quasi in seconda battuta. Il Papa va nel carcere romano di Rebibbia per incontrare il suo attentatore, Alì Agca. È il 27 dicembre 1983. Ma se la ?prima volta? dell?incontro con l?uomo che ha cercato di ucciderlo sarà storica, non meno storica diventerà, nel tempo, la prima visita di Giovanni Paolo II in un carcere (in realtà, la ?prima volta? del Papa in un carcere risale al 6 gennaio 1980, quando visita il carcere minorile di Casal del Marmo, ma è la visita a Rebibbia l?inizio del rapporto speciale tra il Papa e i detenuti). Alla presenza dell?allora ministro di Grazia e giustizia, Mino Martinazzoli, del direttore degli Istituti di prevenzione e pena, Nicola Amato, del cardinale Ugo Poletti, suo vicario per Roma, ma soprattutto davanti a un migliaio di detenuti emozionatissimi, il Pontefice celebra la liturgia della Parola. Quella di Rebibbia è la terza visita di un Papa in carcere, dopo quelle di Giovanni XXIII (1958) e di Paolo VI (1964), che però si recarono a Regina Coeli. La visita del Papa buono aveva fatto epoca. Giovanni XXIII aveva definito il carcere «la casa del Padre». Paolo VI aveva lasciato, dopo la messa, la pianeta e il calice ai detenuti. Per prepararsi alla visita, Giovanni Paolo II tempesta di domande i suoi collaboratori, invita in Vaticano i cappellani delle carceri e viene colto da «vivo sbigottimento» nell?apprendere che la carcerazione preventiva poteva durare anche 12 anni. Quando arriva a Rebibbia vuole salutare i detenuti scelti per l?incontro (400) uno a uno, stringe loro la mano, regala rosario e panettone. Nel suo discorso parla di «redenzione» e «riconciliazione», si dice «profondamente commosso», si rammarica «di non poter parlare a lungo con ognuno di voi, di non poter ascoltare quello che forse vorreste raccontarmi della vostra vicenda personale, della situazione della vostra famiglia, delle delusioni accumulate nel passato e delle aspettative con cui, nonostante tutto, vi proiettate verso l?avvenire. Sono certo», dice il Papa, «che un simile colloquio mi permetterebbe di misurare quale profondità di sentimenti e quale ricchezza di umanità ciascuno di voi nasconde dentro di sé». Come a voler dare concretezza a queste parole, Wojtyla si ferma due ore a parlare con Alì Agca. Le immagini del Papa chinato ad ascoltare il suo attentatore faranno il giro del mondo. Poi va incontro alle detenute nella sezione femminile. «Qui mi sento specialmente commosso, vedendo voi e avendo una speciale stima per ogni donna, stima che mi proviene dalla mia devozione alla madre di Dio». Dopo tre ore saluta tutti così: «Arrivederci in libertà». I detenuti gli offrono una barca costruita con 5mila fiammiferi, un banjo e una croce fatti tutti allo stesso modo. La prima volta in Cile All?estero la sua prima visita in un carcere la effettua in Cile, dove incontra i detenuti di Antofagasta, l?8 aprile 1987, mentre il 10 maggio 1990 parla ai messicani del carcere di Durango. L?8 giugno 1991 saluta i detenuti di Plock, nella sua Polonia. Importanti anche i messaggi inviati dal Papa ai carcerati. Dal radio messaggio ai detenuti durante la visita pastorale in Francia (6 ottobre 1986) al messaggio televisivo alle carceri peruviane durante la visita a Lima (16 maggio 1985), a quello radiotelevisivo ai carcerati dell?Argentina (11 aprile 1987) o a quello, molto forte, per i detenuti dell?isola di Madagascar (1° maggio 1989). L?applauso di Badu e Carros Un?altra visita significativa Giovanni Paolo II la realizza a Viterbo, il 27 maggio 1984 (ma poi il 7 ottobre 1984 parlerà ai detenuti del carcere di Reggio Calabria e il 16 giugno 1985 farà visita al carcere femminile della Giudecca a Venezia). Nel cortile dell?istituto il Papa incontra i detenuti, cui dice: «Qualunque sia il passato e per quanto si preannunci difficile il futuro, sappiate che il Signore non vi abbandonerà, ma vi sta accanto e vi sostiene». Il 20 ottobre 1985, in Sardegna, Giovanni Paolo II incontra i detenuti del carcere ?Buon cammino? di Cagliari: il primo applauso lo strappa quando ricorda i reclusi del supercarcere di Badu e Carros, vicino Nuoro, che – spiega – «non ho potuto visitare nonostante il loro invito» e per i quali ha comunque parole di solidarietà. Poi sottolinea di identificarsi con le pene dei carcerati, ricordando che finirono in prigione apostoli e profeti, oltre che Gesù: «Qualunque sia il nostro passato», aggiunge, «Cristo ci ama e offre a tutti la possibilità di redimersi e salvarsi». Infine, infrange i divieti e scende tra i reclusi. Per abbracciarli. Riceve in dono una navicella costruita con pezzetti di legno e chiamata dagli stessi detenuti ?buon cammino?, come il nome del carcere. Il Papa la definisce «una scialuppa della speranza, come la barca di Pietro». «Fratello tra fratelli» Il 19 marzo 1987 il Papa va nel carcere di Civitavecchia, dove i detenuti gli regalano una coperta di lana, bianca e gialla, fatta da loro stessi. Giovanni Paolo II vuole testimoniare «l?affetto e la sollecitudine della Chiesa» verso persone «non di rado più sfortunate che colpevoli». Il 23 settembre 1989 è in quello di Volterra, dove un ergastolano polacco gli dona una statua di bronzo raffigurante il Papa. Davanti a loro si definisce «fratello tra fratelli». Il 17 giugno 1990 è a Orvieto, per la solenne festa del Corpus Domini. Giovanni Paolo II, alla fine della processione, vuole incontrare i carcerati: «Anche nei momenti di grande trionfo, come nella solenne processione di stamani», dice, «Cristo vive in questa sua ostia come prigioniero. Non so se l?analogia con la vostra condizione sia perfettamente teologica ma sul piano umano mi sembra molto adeguata». L?attacco alla mafia Da quel momento in poi le visite del Papa in carcere sono un crescendo: l?11 novembre 1990 Giovanni Paolo II è a Poggioreale, a Napoli, dove ancora non hanno dimenticato il suo abbraccio a un detenuto sieropositivo. A tutti loro, ma soprattutto alle istituzioni, il Papa dice: «Tutti ugualmente, pubblici poteri e private organizzazioni, sono chiamati a offrire a chi attraversa momenti difficili un appoggio concreto. In modo speciale è necessario che chi si trova in carcere sia aiutato soprattutto nella delicata fase del suo reinserimento sociale». Il 14 maggio 1992 va a Santa Maria Capua Vetere (carcere minorile di Anguilli, dove si commuove di fronte a Giuseppe, che gli grida «non siamo criminali»), il 10 maggio 1993 a Caltanissetta, casa circondariale Malaspina. Dopo aver invitato i mafiosi a pentirsi e attaccato frontalmente la mafia («La mafia è il contrario di Dio e lo offende»), è proprio in Sicilia che il pontefice parla di «itinerario della confessione, un cammino costante di abbandono del male e di ricerca sincera del bene». Ai detenuti che lo acclamano parla di speranza, di recupero. «La vostra condizione», dice, «non è certo felice. Separati dalla società, rischiate di sentirvi abbandonati e immersi in una solitudine piena di sofferenza e di inquietudine. Vorrei allora dirvi: non cedete mai alla tentazione dello scoraggiamento, aggrappatevi alla vita e alla speranza. Sì, speranza. È questa la strada per aprirsi a un futuro di riscatto e vera redenzione». L?evento di Regina Coeli Il 9 luglio 2000, per celebrare il Giubileo dei detenuti, il Papa va a Regina Coeli. La prima novità è il messaggio stesso: è la prima volta che il Papa si rivolge solo ed esclusivamente al mondo delle carceri. La forma è dottrinale, ma il linguaggio è discorsivo, pacato, giubilare. Parla di riconciliazione e rinnovamento e si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, non solo a detenuti, operatori delle carceri, giuristi. Contiene idee, indicazioni, espone valori cristiani, mette in risalto difficoltà, ingiustizie, violenze, sofferenze e bisogni dei carcerati, stimola a revisionare comportamenti e atteggiamenti, a valutare alla luce dei valori evangelici la realtà e i problemi connessi al carcere e alla pena. Richiama alla responsabilità e stimola all?impegno. Ma cosa dice esattamente il Papa? Chiede «un segno di clemenza» per i detenuti. La classe politica discute di amnistia e indulto. Le polemiche non mancano e sono pesanti. Dopo la messa – durante la quale il Papa ricorda che anche Cristo fu carcerato – Wojtyla aggiunge queste parole: «Nell?accomiatarmi da voi, cari detenuti, desidero rinnovarvi il mio saluto, che estendo anche ai vostri familiari. So bene che ognuno di voi vive guardando al giorno in cui, espiata la pena, potrà riacquistare la libertà e tornare nella propria famiglia. Consapevole di ciò, nel messaggio che ho inviato al mondo intero per questa giornata giubilare, sulle orme dei miei predecessori e nello spirito dell?Anno Santo, ho invocato per voi un ?segno di clemenza? attraverso una riduzione della pena. L?ho chiesto nella profonda convinzione che una tale scelta costituisce un segno di sensibilità verso la vostra condizione, capace di incoraggiare l?impegno del pentimento e di sollecitare il personale ravvedimento. In questa prospettiva, rivolgo a ciascuno il mio augurio più cordiale». Nelle parole di Giovanni Paolo II, certo, ciò che più conta è la liberazione dal peccato, quel peccato che «ha turbato il disegno di Dio» ma – aggiunge – la pena non può essere vendetta sociale e ha senso solo se offre «a chi ha sbagliato» la possibilità di «rifarsi una vita e reinserirsi nella società». Lo schiaffo del parlamento Quando, il 14 novembre 2002, per la prima volta dall?unità d?Italia, un pontefice fa visita al parlamento italiano, tutti credono che il ?miracolo? dell?amnistia o indulto sia a un passo. Nel suo discorso il Papa tocca molteplici argomenti, a volte anche in modo un po? generico, per non urtare le sensibilità di nessuno, ma sulla necessità che lo Stato faccia un indulto nei confronti dei detenuti le sue parole sono chiare e inequivocabili. E così si fa nuovamente portavoce, come nel 2000 a Regina Coeli, delle istanze che vengono dalle carceri italiane: i detenuti, dice il pontefice, meriterebbero «un segno di clemenza» . E ancora: «Una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità» nei loro confronti. Alla fine del discorso, i politici e parlamentari vanno a rendergli omaggio: molti s?inchinano, qualcuno gli bacia la mano, tutti lo salutano in modo deferente e commosso. Da allora a oggi il parlamento italiano non ha preso nessun provvedimento generale di grazia o di clemenza. L?indulto chiesto dal Papa e è rimasto lettera morta, l?indultino non è servito a nulla. Il Papa? Vox clamans in deserto, almeno per quanto riguarda la politica. Non per i carcerati.


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